Lascia che il mondo giri by Colum McCann

Lascia che il mondo giri by Colum McCann

autore:Colum McCann [McCann, Colum]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2022-01-11T23:00:00+00:00


LIBRO SECONDO

Tag

Eccolo lì, fra due vagoni, in una mattina già afosa e opprimente. Nel rullino ancora nove scatti. Gli altri presi quasi tutti nell’oscurità. Due foto sono buie: il flash non ha funzionato. Quattro le ha scattate da treni in movimento. Un’altra, sulla Concourse, è un bidone sicuro.

Beccheggia sullo stretto pianale di metallo mentre il treno in uscita da Grand Central scivola zigzagando verso sud. A tratti basta la sola vista della curva in arrivo a provocargli un senso di vertigine. Quella velocità. Quel rumore che picchia nelle orecchie. La verità è che gli fa paura. L’acciaio che gli rimbomba dentro. Come se l’intero treno gli corresse nelle scarpe da ginnastica. Controllo e annientamento. A volte si sente come se fosse lui a guidare. Un po’ troppo a sinistra e il treno si schianterebbe in curva lasciando migliaia di corpi straziati lungo le rotaie. Un po’ troppo a destra e le auto sbanderebbero: addio, il piacere è stato mio, ci si rivede in prima pagina. È su quel treno dal Bronx, una mano sulla macchina fotografica, l’altra sulla porta della vettura. A gambe larghe per mantenersi in equilibrio. Gli occhi incollati alle pareti del tunnel, alla ricerca di nuove tag.

Sta andando in centro, al lavoro, ma al diavolo pettini, forbici e lozioni da barba: lui spera soltanto di inaugurare la mattina con una tag. L’unica cosa in grado di lubrificare gli ingranaggi della sua giornata. Tutto il resto gli scivola accanto, quelle invece gli balzano all’occhio. PHASE 2. KIVU. SUPER KOOL 223. Adora quelle lettere, la curvatura, gli archi, gli scarti improvvisi, le fiamme, le nuvole.

Corre a bordo del treno locale solo per vedere chi è stato lì durante la notte, chi è venuto a firmare, quanto si è spinto nell’oscurità. Non ha più molto tempo per la superficie, per i ponti della ferrovia, le piattaforme, i muri dei depositi, o i camion della spazzatura. Un lavoro da idioti, quello. Qualsiasi chulo può vomitare un graffito su un muro: sono le tag sottoterra ad averlo conquistato. Quelle che scova nel buio. Laggiù, lungo i muri dei tunnel. Sorprendenti. Più sono in profondità, meglio è. Svelate dalle luci mobili del treno, colte per un istante soltanto, così breve che non è mai davvero certo di averle viste. JOE 182, COCO 144, TOPCAT 126. Alcune si riducono a sgorbi illeggibili. Altre, valse anche due o tre bombolette, si alzano dal ghiaietto al tetto, lettere che si annodano come per sfuggire alla fine, che paiono aver inghiottito una boccata d’aria. Altre ancora si allungano per un metro e mezzo. La migliore di tutte supera i cinque metri, è quella sotto la Grand Concourse.

Per un certo periodo sono state di un unico colore, argento soprattutto, che scintilla nell’oscurità, ma quest’estate sono arrivate a due, tre, quattro colori: rosso, blu, giallo, e perfino nero. La prima volta che le ha notate è rimasto di stucco: fare una tag a tre colori dove nessuno può vederla. Quello doveva essere completamente fatto, o geniale, o tutte e due le cose.



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